Nel corso degli anni, l’interpretazione e la traduzione della Bibbia hanno subito profonde modifiche, riflettendo il continuo avanzamento degli studi linguistici e storici. La recente pubblicazione di nuove versioni bibliche ha finalmente confermato molte delle osservazioni che Mauro Biglino ha fatto da oltre un decennio, in particolare riguardo alla profezia di Isaia 7:14 e alla traduzione di termini chiave come yam suf (mare di canne) e almah (giovane donna). In questo articolo, approfondiremo questi cambiamenti e li metteremo in relazione con la localizzazione fisica della divinità biblica, un tema che trova conferma anche nel Corano.
La profezia di Isaia: Maria o la madre di Ezechia?
Uno degli argomenti più dibattuti riguarda la presunta profezia di Isaia sulla nascita di Gesù. Per secoli, le traduzioni cristiane hanno interpretato il termine almah come “vergine”, alimentando l’idea che il testo si riferisse a Maria. Tuttavia, le più recenti edizioni della Bibbia, come ad esempio The Revised New Jerusalem Bible del 2024 e la Bibbia Einaudi, confermano che almah significa semplicemente “giovane donna” e che il bambino menzionato è in realtà Ezechia, figlio del re Achaz di Giuda.
Inoltre, il termine harah nel testo ebraico è un aggettivo e indica una donna già incinta e non una che concepirà in futuro.
Questa interpretazione è confermata dalle note esplicative delle Bibbie più recenti, che indicano come la donna menzionata fosse probabilmente la moglie del re Achaz, identificata nel libro dei Re e delle Cronache con il nome di Abijah.
La traduzione greca della Bibbia, la Septuaginta, ha tradotto almah con il termine greco parthenos, che significa “ragazza” e “vergine”, alimentando così un fraintendimento che si è radicato nella tradizione cristiana per secoli.
Ma nel contesto ebraico originario, il segno di cui parla Isaia non aveva nulla di miracoloso: si riferiva a un evento storico imminente, non a una nascita straordinaria avvenuta secoli dopo.

Un altro aspetto interessante è la tempistica indicata nel testo. La Bibbia più recente chiarisce che la donna “partorirà entro pochi mesi” (within months), confermando che il bambino era già concepito e che il segno non riguardava un evento lontano nel tempo.
Questa visione è supportata anche dal Talmud e dai commentari rabbinici, i quali non associano in alcun modo Isaia 7:14 alla figura messianica di Gesù.
Le implicazioni di questa revisione sono enormi, poiché smontano una delle profezie più citate nel Nuovo Testamento a supporto della nascita verginale di Cristo.
Se il versetto di Isaia non preannunciava la nascita di Gesù, allora viene meno uno dei principali fondamenti scritturali su cui si basa questa dottrina.
Questo mostra come la traduzione e l’interpretazione dei testi biblici siano stati profondamente influenzati da necessità teologiche, piuttosto che da una lettura filologicamente corretta del testo originale ebraico.
La consapevolezza di questi errori traduttivi ha portato molte edizioni moderne della Bibbia a correggere finalmente la traduzione di Isaia 7:14, allineandosi a ciò che studiosi come Mauro Biglino sostengono da oltre un decennio.
Questo rappresenta un passo importante nella comprensione filologica della Bibbia e conferma ancora una volta quanto sia necessario rivedere criticamente molte delle tradizioni interpretative consolidate nel tempo.
Il vero significato di Yam Suf: il Mare di Giunchi
Un altro esempio di correzione nelle traduzioni riguarda il termine yam suf, tradizionalmente reso come “Mar Rosso” ma che in realtà significa “mare di canne” o “mare di giunchi”. Questa nuova comprensione cambia radicalmente il contesto dell’episodio dell’Esodo, poiché non si tratta di un passaggio miracoloso attraverso il Mar Rosso, come per secoli è stato insegnato, ma di un fenomeno naturale avvenuto in una zona paludosa.
Le acque di yam suf sono descritte nel testo biblico come temporaneamente ritirate a causa di un forte vento, permettendo agli Israeliti di attraversare il fondale asciutto. Questo particolare trova conferma nelle descrizioni dei fenomeni naturali legati a bacini acquatici poco profondi, come le maree o gli effetti del vento su lagune e acquitrini. Dopo il passaggio del popolo ebraico, il vento si placa e le acque tornano al loro stato originario, travolgendo l’esercito egizio.

Questo cambiamento di prospettiva è significativo perché ridimensiona l’elemento miracoloso del racconto e lo riconduce a una narrazione storicamente e scientificamente plausibile. La stessa Bibbia, nelle versioni più recenti sopra citate, comincia a recepire questa correzione, traducendo finalmente yam suf come “mare di giunchi” anziché Mar Rosso. Questo è un ulteriore esempio di come le moderne ricerche linguistiche e storiche stiano gradualmente portando alla luce il vero significato di molti passaggi biblici che per secoli sono stati fraintesi o reinterpretati in chiave teologica.
Il Dio della Bibbia è sempre localizzato nello spazio
Uno degli aspetti più affascinanti della lettura letterale della Bibbia è la costante localizzazione fisica di Dio. Yahweh non è un’entità onnipresente e astratta, ma un essere che si muove nello spazio, si manifesta in luoghi specifici e interagisce fisicamente con i suoi interlocutori. Questo concetto è ampiamente trattato nel capitolo 11 di Gli dèi della Bibbia, dove si analizza il ruolo dei malakhim, i messaggeri di Dio, tradotti erroneamente come angeli.
Come evidenziato nel libro, i malakhim non sono esseri spirituali, ma individui in carne e ossa che camminano, mangiano, si stancano e interagiscono fisicamente con gli esseri umani. Questi individui non solo trasmettono ordini, ma spesso agiscono in ruoli strategici e operativi.
Ad esempio, in Esodo 23:20-30, Yahweh ordina l’invio di un malakh per guidare gli Israeliti nella conquista della Terra Promessa, con funzioni che assomigliano più a quelle di un comandante militare che a quelle di un essere etereo. Inoltre, in Genesi 16, il malakh che incontra Agar non è una figura ultraterrena, ma un essere che cammina nel deserto, appare sorpreso di trovarla lì e le pone domande per capire la situazione. Anche in Genesi 22, quando Abramo sta per sacrificare Isacco, è un malakh a fermarlo all’ultimo momento, suggerendo un intervento fisico e concreto.
Questi episodi evidenziano un Dio che non è onnisciente né onnipresente, ma che interagisce attraverso messaggeri che devono muoversi fisicamente nello spazio per eseguire ordini. La loro presenza è spesso fonte di paura per chi li incontra, come nel caso del malakh di 1 Cronache 21, che appare con una “spada” puntata su Gerusalemme, suscitando il terrore di Davide e degli abitanti della città.
Un aspetto interessante emerge anche da Giudici 6, in cui Gedeone incontra un malakh mentre sta trebbiando il grano. L’essere non appare come una visione eterea, ma è un uomo che interagisce con lui, accetta di aspettare mentre Gedeone prepara del cibo e poi compie un’azione sorprendente: con un bastone, fa accendere una fiamma per bruciare l’offerta, indicando l’uso di una tecnologia sconosciuta piuttosto che un miracolo divino.

Infine, la Bibbia descrive incontri casuali tra i malakhim e gli uomini, come in Genesi 32, dove Giacobbe si imbatte in un accampamento di elohim. Essi, i malakhim, non portano messaggi divini, non si manifestano in un alone di luce, ma si trovano semplicemente sul suo cammino, suggerendo una presenza stabile e fisica su questo pianeta.
Tutti questi elementi portano a una visione della Bibbia radicalmente diversa da quella tradizionale: il Dio biblico è localizzato, opera attraverso esseri corporei e agisce all’interno di un quadro materiale e strategico. Questo aspetto trova riscontro anche nelle narrazioni extrabibliche, come quelle sumere e babilonesi, che descrivono figure divine che interagiscono con gli esseri umani in modo altrettanto tangibile e concreto.
Il Corano e la conferma della localizzazione divina
Un’affermazione particolarmente interessante emerge dal Corano: nella Sura 53:49 si legge che “Allah è il signore di Sirio”. Questa dichiarazione suggerisce un collegamento diretto tra la divinità e un punto preciso del cielo. Questo non è un caso isolato: molte culture antiche attribuivano alle loro divinità un’origine celeste, e la Bibbia stessa descrive Yahweh come un essere che si muove nello spazio e che interagisce con il suo popolo in luoghi ben precisi.
L’idea che le divinità bibliche abbiano una connessione con un luogo celeste specifico è rafforzata da altri passi delle Scritture. Nel Salmo 24 si parla di “porte” che si aprono sull’olam, il non conosciuto, attraverso cui Yahweh passava con il suo kavod per andare in una destinazione precisa. La tradizione ebraica ha poi sviluppato il concetto di “luogo dei giusti”, una sorta di dimora celeste connessa a questi passaggi cosmici.
Questa localizzazione celeste trova riscontro anche nelle tradizioni di altre civiltà. Gli Egizi veneravano Sirio come una stella sacra, legata alla dea Iside e alla rigenerazione del mondo. Anche i Sumeri e i Babilonesi associavano le loro divinità a specifiche costellazioni, e il nome stesso di El, una delle designazioni più antiche della divinità biblica, è etimologicamente collegato alla radice semitica che indica “elevazione” e “altezza”.

Il collegamento tra Yahweh e un’origine cosmica è ulteriormente supportato dal racconto di Ezechiele, in cui il ruach, il vento o soffio divino, giunge da una direzione precisa, come se provenisse da una posizione determinata nello spazio. L’idea di un Dio che si muove tra luoghi specifici dello spazio si inserisce quindi in un contesto più ampio, condiviso da molte culture antiche.
Tutti questi elementi portano a una riflessione importante: se la divinità biblica aveva un punto di origine celeste, allora il concetto tradizionale di Dio onnipresente ed etereo potrebbe essere il risultato di un’elaborazione successiva, piuttosto che di un’informazione presente nel testo originale.
Conclusione
Le recenti traduzioni bibliche confermano sempre più le analisi di Mauro Biglino, dimostrando che molte credenze tradizionali si basano su interpretazioni errate del testo originale. La Bibbia non parla di un Dio universale e onnipresente, ma di una divinità che si muove nello spazio, interagisce con il popolo di Israele e si avvale di messaggeri fisici per compiere le sue azioni.
Il parallelo con il Corano e con le credenze di altre culture antiche rafforza l’ipotesi che il Dio della Bibbia fosse un’entità localizzata e non un essere astratto.
Questi elementi aprono nuove prospettive di ricerca e ci invitano a riconsiderare molte delle nozioni date per scontate nella tradizione religiosa occidentale.